Benvenuti sul blog Phoesia

Sono lieto di condividere questo spazio personale con amici, conoscenti e lettori che maldestramente sono entrati in questa pagina. Sin dal 23 gennaio 2011, Phoesia offre riflessioni personali su molteplici temi quali poesia, letteratura, filosofia, arti plastiche, cinema, teatro e tanto altro ancora. Nonostante ciò, Phoesia resta uno spazio aperto alle riflessioni di chiunque abbia voglia di scrivere, in modo "impegnato", su queste tematiche. Un grande benvenuto a tutti!

08/12/11

VOLTI

Gli zainetti colorati sono dissonanti. I volti delle persone assomigliano a maschere di terra con espressioni rancorose. Rancore verso chi, verso cosa... non è dato saperlo. I loro volti hanno il senso di un'apparenza casuale, esterna, dissacrante. Le immagini corrono alla velocità della luce fuori dai finestrini. La luce va e viene, non è una  giornata di festa, tutti i presenti lo sanno. Nessuno vuole parlarne, nessuno fa finta di esserne interessato. Tutti ne percepiscono il movimento e vi si adeguano. I volti sono quasi sempre diversi, quasi. Alcuni sono accentuati, altri insospettabili. Tutti sanno, tutti dissimulano ciò che vorrebbero dire. I volti sono allarmi, sensazionali vetri oscurati da luci fosforescenti, intermittenti. Non hanno bisogni istantanei, anche se alcuni sembrano avere fretta di non essere più guardati. Le parole pronunciate rimbalzano nelle bocche, asciutte dalla continua sonnolenza dei precetti, delle memorie inventate. Si direbbe quasi che non pensino ai doveri, alle necessità. 
Un volto si gira lentamente e si fissa sul volto di fronte. Gli sguardi entrano in contatto. Gli occhi sono sempre ingannevoli. La loro arte è nel raffigurare rimandi senza pause. Lo sguardo si posa sull'attaccatura dei capelli di una donna di colore. Ha le trecce che cominciano esattamente dove finisce un primo progetto di unità disegnato e studiato attentamente dallo sguardo. Il volto. Unità ingannevole. Occorre saperlo guardare con attenzione e non cadere nella trappola degli occhi. Piuttosto le guance, l'inclinatura del setto nasale, le narici, le pieghe impercettibili della pelle. La bellezza del volto è nella distrazione dello sguardo che lo fissa. D'improvviso una frenata distrae i volti dai volti. Altri ne arrivano. Stavolta sono a decine, tutti diversi l'uno dall'altro. Tutti portatori di novità. Tutti seducenti. Lo sguardo non deve distogliere la propria attenzione a causa di questo malinteso. Deve ritrovarsi, deve ritrovare il volto a cui appartiene. Non può permettersi di stancarsi... non può permettersi di dimenticare.
Luca Pallanti
(estratto da un capitolo ancora da scrivere)

01/12/11

SULL'OPERA D'ARTE: TAINE E LAFORGUE

Vorrei evocare oggi un dibattito piuttosto interessante sull'estetica dell'opera d'arte : questo dibattito riguarda il filosofo, intellettuale e storico Hippolyte Taine e il poeta e critico d'arte Jules Laforgue. Le opere a cui farò riferimento sono le considerazioni sull'arte di Taine apparse in maniera rigorosa e in un certo senso definitiva nel primo capitolo dell'opera La filosofia dell'arte e i Mélanges Posthumes di Laforgue, raccolta di pensieri e annotazioni meno conosciuta. 
Vorrei però prima di tutto ricordare che un dibattito di questo tipo, che data di quasi 130 anni, è lontano dall'essere anacronistico. L'importanza storica di ciò che stava succedendo in quel periodo in Francia, avrà non poche ripercussioni su tutta la storia del pensiero filosofico, artistico e politico di tutto il Novecento e, ancora oggi, può aiutare a capire certe caratteristiche essenziali della nostra epoca. 
Hippolyte Taine era considerato negli anni che vanno dal 1850 al 1880 l'intellettuale di riferimento del mondo culturale francese ed europeo. Uomo di grande esperienza, Taine sembrava senza dubbio incarnare lo spirito del Positivismo dominante all'epoca. I suoi studi in fisiologia, fisica e filosofia della scienza (Naturalismo) gli valsero non poca fortuna in quegli anni. Fu così che Taine, molto interessato alla filosofia dell'arte, negli anni dal 1865 al 1882 scrisse una delle sue opere più importanti : La filosofia dell'arte. Negli scritti di Taine erano presenti una forte componente positivista, indicativa della scientificità del suo pensiero, e al tempo stesso una forte componente idealista, di matrice hegeliana. In quegli stessi anni, nasceva a Uruguay (Montevideo, 1860) Jules Laforgue. Poeta sfortunato, di salute cagionevole, Laforgue lascerà il mondo a soli 27 anni, nell'agosto del 1887. Nella sua breve esistenza, Laforgue avrebbe lasciato però il segno nel panorama letterario e artistico francese grazie al suo capolavoro primo, Les Complaintes ed altre opere di grande rilievo poetico e filosofico. Proprio negli anni 80 del XIX secolo, al tempo in cui frequentava il gruppo degli Hidropathes (i fututi Simbolisti), Laforgue intraprende una querelle con Taine a proposito dell'estetica dell'opera d'arte.
Riassumendo, Taine, nel primo capitolo della Filosofia dell'arte, esplicita la sua teoria del milieu (ambiente), giustificando a suo modo la possibile sistematizzazione della genesi di un'opera d'arte. Conservatore e classicista, Taine crede nella possibilità di giungere, prendendo in prestito i concetti del positivismo biologico, alla causa primitiva che determina la nascita e la ricezione dell'opera d'arte. Il filosofo cerca di dimostrare che l'opera d'arte di un artista non è mai sola ; essa, come le figlie di uno stesso padre, è presente all'interno della famiglia delle opere dello stesso autore e ne rispecchia gli effetti di stile. L'artista, a sua volta, fa parte di una famiglia di artisti ancora più grande che lo ingloba e rende possibile la sua presenza. Quegli stessi artisti fanno parte di una stessa mentalità di stile e costumi, parametro che permette loro di essere compresi in una società. Taine sostiene l'intima armonia tra l'artista e il suo pubblico. Laforgue, nei suoi pensieri pubblicati successivamente nel 1901 con il nome di Mélanges Posthumes, nega imperativamente ogni possibilità di conoscere il principio primo che spinge un artista alla creazione. Secondo Laforgue è proprio la prerogativa dell'artista di sottrarsi al suo tempo, di non avere cioè contemporanei, a renderlo geniale, fuori dalla norma, artista. Il poeta francese crede nell'assoluta originalità dell'opera d'arte, distaccandosi definitivamente dal modello interpretativo classicista che, come per l'epistemologia scientifica, si basa sulla ricerca dei principi universali dell'opera d'arte. 
Laforgue afferma nel 1883 che " bisogna fare dell'originalità ad ogni costo". Contrappone all'estetica di Taine una poetica dell'effimero, dell'immediato : l'epifania dell'istante. Laforgue pensa all'opera d'arte come ad un'anarchia della creazione, identificandola  al concetto stesso di vita. Una creazione non può essere brutta o bella, è semplicemente la vita, la rappresenta nella sua istantaneità e mutevolezza quotidiana, nella sua irrappresentabilità. Il poeta sviluppa così una poetica dell'ipertrofia, concetto metaforicamente preso in prestito alla fisiologia che vuole significare l'eccesso creativo, la dismisura della creazione. 
E' chiara una visione diametralmente opposta dell'opera d'arte e delle sue implicazioni filosofiche. Influenzato tra gli altri dalla filosofia di A. Schopenhauer, Laforgue rappresenta così un perno tra il grande momento del Romanticismo e l'arte delle avanguardie di inizio Novecento. Attraverso la sua riflessione, l'esistenzialismo, che sarà l'atteggiamento creativo più diffuso nella grande letteratura e filosofia del Novecento fino ai nostri giorni, muoverà i suoi primi passi ad un'epoca in cui il pensiero razionale/scientifico fa sentire la sua pressione e importanza in tutti i campi del sapere.

14/11/11

PIZZA ELITE MARI E MONTI

Un paio di settimane fa' il buon dado, in arte Goran Franzic, (alias non lo chiamo per nome perchè non so se vuole), mi fa notare un video di Paolo Barnard molto interessante. In una maniera molto articolata, il giornalista e saggista Barnard fa il punto della situazione affermando perentoriamente la morte degli stati europei, l'egemonia dell'Euro in quanto fattore monetario dispotico, e la vittoria definitiva delle élites finanziarie sulle democrazie europee. Paolo Barnard, apparentemente, si configura nel panorama culturale italiano come una sorta di visionario postmoderno, prossimo alla science fiction e sostenitore delle tesi cosìddette cospirazioniste. Paolo Barnard ha pagato a caro prezzo la sua libertà divenendo uno dei tanti giornalisti dimenticato ed escluso dal dibattito che conta. Sono persuaso che sia proprio per quest'ultima ragione che Paolo Barnard vada invece ascoltato e preso molto sul serio. 
Le motivazioni sono semplici. Innanzi tutto ci sono le referenze di questo giornalista e scrittore. Il suo curriculum è semplicemente sorprendente per la ricchezza delle competenze, esperienze e opere a suo carico. Un'altra motivazione riguarda il numero di visualizzazioni dei suoi video su you tube : in media 15000 per video. Una cifra irrisoria se calcoliamo la competenza di questo signore e l'importanza e la precisione di ciò che dice. Basti pensare che Marco Travaglio, altro giornalista molto importante, arriva facilmente alle 100000 visualizzazioni per video, superandole anche con una certa facilità. Terza motivazione, Paolo Barnard è uno dei pochissimi che sa collocarsi su un piano transnazionale, planetario, con una certa autorevolezza. Tra le sue "frequentazioni abituali" figurano i migliori economisti delle università americane. 
Buone motivazioni per ascoltarlo quanto meno. Per quanto mi riguarda, le parole di Paolo Barnard mi hanno aperto gli occhi, o per lo meno sturato le orecchie. Chiunque si occupi di letteratura in senso stretto ha la percezione di quando accaduto negli ultimi 50 o 60 anni di storia. La parabola letteraria è emblematica in questo senso. Ebbene, ciò che Barnard diceva qualche anno fa ha trovato una volta di più conferma nella più immediata attualità. 
Risulta evidente come Berlusconi, fondatore e attuatore del consumismo e del capitalismo speculatore in Italia, sia stato vittima del suo stesso sistema. Ho sempre pensato che avrei molto festeggiato la caduta di Berlusconi in politica. Non l'ho fatto. Non perchè non ne avessi voglia in realtà, ma perchè sento che qualcosa di ancora più oscuro mi abbaglia e mi fa perdere l'equilibrio. Berlusconi è stato vittima delle élites finanziarie ed economiche europee, soprattutto quelle dell'asse franco-tedesco. La volontà di potere e il suo aberrante superomismo gli hanno fatto dimenticare per un po' chi comandava realmente. Gli eventi di questi ultimi giorni ne sono la conferma. Monti è nominato Presidente del Consiglio italiano. Papademos del governo greco. Questi due personaggi hanno qualcosa in comune : entrambi godono della fiducia della istituzioni europee. Entrambi sono stimati studiosi di economia, entrambi parlano il linguaggio delle élites europee. Entrambi sono chiamati a fermare l'emorragia europea. La crisi. Monti deve risanare il bilancio pubblico, ma non tenendo conto dell'Italia e dei suoi cittadini, dei loro bisogni e delle loro necessità. Monti deve rendere conto solamente alle élites finanziarie europee. La crisi. Crisi creata dalla speculazione bancaria. Crisi che per essere risolta deve riportare le banche ad una certa capacità economica. La morale è una sola : le banche hanno creato la crisi, le banche ricevono fondi per eliminare la crisi. C'è qualcosa di molto aberrante, oscuro, patologico in tutto questo. Qualcosa che non ci è dato sapere. Qualcosa che non dobbiamo sapere. Qualcosa che forse non vogliamo sapere. Le nostre coscienze cristiane rischierebbero troppo. 
Non sappiamo cosa ci aspetta da questo Monti. Certo è che ci farà sputare sangue. Sangue che non esce da una ferita che ci siamo fatti da soli. Sangue che sgorga da una ferita che qualcun altro ci ha fatto. Poeticamente ho la tentazione di identificare questo circuito con il sistema degli specchi. E' come se ognuno di noi, ferito, si guardasse allo specchio. E accusasse la sua immagine riflessa di avergli fatto del male. E a questo punto la colpisse e di riflesso si creasse altre ferite. More blood.
Sono d'accordo con Paolo Barnard quando dice che i paladini dell'antisistema non riescono o non vogliono cogliere l'essenza del problema. Ci scagliamo con violenza verso il problema particolare. Ci occupiamo di sventolare bandierine contro il presidente e le sue perversioni. Ci sfugge l'essenza della situazione. Ci concentriamo solamente sull'apparenza, non sulla profondità della cosa. Se le élites sono tornate a comandare d'una maniera assolutistica, e tutto ce lo lascia dire (le continue guerre, le crisi senza sosta ecc..), non è plausibile concentrare le forze dell'antisistema sulle apparenze. L'antisistema della buona volontà ha fallito, sta fallendo, volontariamente o involontariamente. La società europea ha riportato il sistema delle classi al centro della discussione. Se non abbiamo la coscienza di appartenere ad una classe, in senso marxista del termine, non potremo mai combattere il sistema che ci istupidisce senza tregua. La coscienza di classe fu il fulcro della Rivoluzione Francese che dette uno scossone al sistema assolutistico. Io penso che dovremmo ritornare a parlare di classi, di potere assoluto, di borghesia. Di ideologia. L'unico pezzo della società che negli ultimi venti anni ha raggiunto una consapevolezza in questo senso è quello che fu, e in parte è tutt'ora, il movimento No Global nei suoi aspetti più estremi ed anarchici. Gli unici che hanno capito l'importanza delle lobby internazionali. Gli unici che hanno pagato duramente il prezzo delle loro azioni e della loro consapevolezza. Gli unici che non cessano di trasformarsi e d'innovarsi nelle strategie e nelle idee. Tutto il resto è noia. Il Popolo Viola, gli Indignati e tutti i movimenti analoghi sono fuori gioco, o meglio, fanno il gioco delle élite, inconsapevoli del loro buonismo intellettuale. 
La pizza élite Mari e Monti è servita. Mangiatene tutti, è gratis!!!

PS : posto il link del video di Paolo Barnard qui sotto. Potrete trovare il link per il suo sito sulla barra di scorrimento a destra.

http://www.youtube.com/watch?v=hEdr_gZSNGQ

20/10/11

17/10/11

INDIGNATI MA INCAZZATI

Domenica 15 ottobre 2011 Roma è stata teatro di uno spaccato di storia, a suo modo piuttosto significativo. I giornali ufficiali si allineano chi più chi meno accanitamente sulla tesi di una manifestazione di grandi proporzioni rovinata da alcuni black block, frange violente, misteriose e oscure che hanno tenuto sotto pressione per la durata d'un pomeriggio una delle città più importanti e storicamente strategiche del mondo come Roma. E' doveroso cercare di capire meglio cosa sia successo attraverso uno sguardo analitico, quasi scientifico sugli avvenimenti e sulla realtà storica che li ha prodotti.
A partire dal linguaggio, dalla percezione e dal contesto antropologico che ne hanno caratterizzato la mediatizzazione.
Prima di tutto il termine indignati, parola chiave di un contesto, anche linguistico, molto più ampio, internazionale. Il tratto dell'internazionalità rimanda ad un rapporto, un legame tra esseri umani che non si sono mai conosciuti, mai entrati in contatto tra di loro. Eppure fanno parte di un fenomeno comune, già storico e periodicizzabile. Il riferimento è a quella che è stata battezzata come primavera araba. Un'ondata di scontri che ha avuto come epicentro la Tunisia e che si è abbattuta giorno dopo giorno sui regimi nord-africani e medio-orientali più violenti e intolleranti fino al punto di rovesciarli, rivoluzionarli. Una marea lontana dal trovare fine e che trova proprio in questi giorni alcuni dei suoi momenti più drammatici nella guerra civile yemenita.
Ma torniamo al nome : indignati (indignados in Spagna, paese che ha per primo promosso l'utilizzo di questa parola). Essere indignati significa trovarsi in una posizione di sgomento rispetto a qualcosa che viene percepito come ingiusto, riprovevole. Linguisticamente, l'espressione essere indignato esprime un concetto di stato, di posizione. Essere indignati, ed essere molti, nel momento di crisi economica, istituzionale e politica che colpisce il mondo in questa sua fase storica è in sé un fatto degno di nota, importante. Essendo però un nome di stato, l'indignazione non esprime altro che il disprezzo verso una data cosa. Non contempla una reazione.
Le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato a Roma erano indignate. Ebbene, molte di queste persone non erano semplicemente indignate, ma anche incazzate. Incazzate nere.
Il noto buonismo all'italiana ha prevalso ancora una volta, almeno nei media. Tutti assolti, teppisti e black block unici responsabili. Pochi cattivi, e molti buoni tutto sommato. Ma nella realtà percettiva delle cose, nell'influenza immaginaria (delle immagini) sulla mente delle persone che assistevano stupidamente sorprese dalle violenze in tv, gli eventi di Roma hanno un peso molto diverso, molto importante.Riflettiamo su alcuni dei concetti propri alla linguistica e alle funzioni del linguaggio. Prima di tutto il concetto di canale, poi quello di messaggio e quindi la recezione (omettiamo per il momento il codice e il destinatario). Perchè l'immagine è un linguaggio, e come tale va trattata. Il canale è evidentemente il mezzo attraverso il quale il messaggio può essere emesso. A Roma il canale è stato un folto gruppo di giovani (stime interne, prese dal sito infoaut.org, parlano di 4000-5000 individui che hanno partecipato attivamente alla sommossa, non qualche casinista quindi), vestiti di nero, ma non sistematicamente, che ha lanciato petardi, incendiato vetture, combattuto primitivamente (il lancio di pietre è un gesto primitivo, essenziale e naturale) la polizia, lanciato fumogeni eccetera. Il parametro messaggio è molto complicato : si tratta di un mix di elementi di storia del pensiero, quello anarchico (potremmo citare forse impropriamente Max Stirner tra gli altri), di storia politica (la neo-cultura dell'antifascismo primariamente), antropologica (lo strutturalismo di Levi Strauss), economica (il riferimento obbligatorio è Marx), filosofica (Althausser), filosofico-giornalistica (J.P. Sartre ma anche Lévi), poetica (la rottura delle avanguardie storiche). Non è improprio definirlo un messaggio romantico. Nel suo senso storico e culturale (rif al post precedente). Questo brevissimo elenco è ampiamente incompleto. Si tratta solamente di una serie di indizi e rimandi utili a renderne la complessità.
L'altro parametro fondamentale è la ricezione. Ed è il più difficile ad analizzare. Per dirla d'una maniera inesaustiva potremmo parlare di presenza. Il pubblico, ammaestrato dalla Società dello Spettacolo ad una visualizzazione gretta e superficiale delle immagini ha comunque, inevitabilmente, inconscientemente percepito una presenza. Una presenza che rimanda ad un'energia incontrollabile, naturale, sovrastrutturale e casuale. Contrariamente alla superficiale opinione della gran parte dei giornali di destra e sinistra (Repubblica ha dato segno di grande povertà intellettuale e miopia generale, a confermare l'assenza di grandi piume in un giornale oramai in decadenza da anni) è proprio sul piano della ricezione del messaggio che le violenze dei ragazzi di Roma hanno vinto la loro battaglia. Il pubblico ha percepito una presenza che fa parte di un immaginario e cha ha riportato la coscienza addormentata di milioni di cittadini a uno scenario primordiale, inconscientemente presente in quello che Jung definiva l' inconscio collettivo. Uno scenario che nel corso degli anni non ha mai cessato di riproporsi sotto forme e strategie differenti. Approfondiremo in un altro momento il concetto di scenario.

Questo post non vuole assolutamente farsi oggettivazione, critica. Questo post pretende di essere identificato come un discorso sulla realtà, sui fatti. Uno studio (per altro molto poco approfondito per esigenze temporali e spaziali) su una serie di avvenimenti che ha forse mostrato una generazione in preda al dubbio, all'incertezza. Una generazione cresciuta sotto la pressione di una dittatura politico/percettiva come quella italiana. Una generazione che si sta riprendendo il suo posto, espropriato da un governo che adotta come pratica ordinaria il malaffare, il clientelarismo e la violazione sistematica della dignità socio-culturale umana. Riprenderemo successivamente i concetti proposti per analizzarli in modo più approfondito.