Benvenuti sul blog Phoesia

Sono lieto di condividere questo spazio personale con amici, conoscenti e lettori che maldestramente sono entrati in questa pagina. Sin dal 23 gennaio 2011, Phoesia offre riflessioni personali su molteplici temi quali poesia, letteratura, filosofia, arti plastiche, cinema, teatro e tanto altro ancora. Nonostante ciò, Phoesia resta uno spazio aperto alle riflessioni di chiunque abbia voglia di scrivere, in modo "impegnato", su queste tematiche. Un grande benvenuto a tutti!

31/01/11

LA NOTTE (1961) M. Antonioni

Michelangelo Antonioni firma nel 1961 uno dei suoi grandi capolavori: "La notte". Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, e poi, Monica Vitti.
La bellezza della pellicola passa attraverso la sua lentezza, la sua capacità di lasciar decidere, di togliere il tempo del film per renderlo allo spettatore/attore. Gli stati d'animo dei protagonisti affiorano grazie all'incredibile corrispondenza paesaggistica. Un rapporto univoco tra immagine e immagine, metafora e metafora.
Antonioni si mostra autore d'avanguardia, capace di andare al di là degli stadi descrittivi, oltre i confini della rappresentazione attraverso la dissolvenza della stessa rappresentazione tradizionale. "La notte", pietra miliare del cinema mondiale, è un gigantesco specchio rivolto verso una società borghese in via di espansione, dove denaro e successo prendono, in crescendo, minuti alla vita e al suo divenire.
Il settimo lungometraggio del regista italiano, vincitore dell' Orso d'Oro al Festival del cinema di Berlino come "Miglior film", evidenzia lo spessore culturale del belpaese in un'epoca forse irripetibile di grandi maestri. Quello stesso spessore culturale che rende oggi come oggi il disastro in corso nelle arti italiane, dove soppravivono, come specie rare, solo pochissime eccezioni. Segno che Antonioni era poeta vero, e come tale è eterna la sua opera. 


30/01/11

Perdersi

Perdersi, non significa solamente non capire più dove ci si trovi. Perdersi, è alle volte dimenticarsi di se stessi. Non è necessariamente negativo o positivo. E' neutro.
Proprio ieri pomeriggio, in compagnia di Nicola mi sono perso di nuovo, anche se non per molto tempo. Ero seduto in uno dei posti vicini al finestrino nella linea 6 del metrò di Parigi. Mentre il treno passava veloce tra i palazzi e i grandi boulevards, mi sono perso per un istante. Un istante lunghissimo dove tutto mi è sembrato bello e brutto al tempo stesso. Si tratta di un momento nel quale ho osservato la realtà dal finestrino come se non facessi parte della realtà. Come se non ne fossi contemplato, come se non fossi nel tempo e nello spazio. Ed effettivamente, non c'ero.
Guardavo lontano, estasiato dalla velocità delle immagini che si susseguivano davanti a me. Guardavo lontano. Ero lontano. Sentivo muoversi una dietro l'altra tutte le migliaia di miliardi di molecole presenti in ogni punto su cui si posavano i miei occhi. Non c'era più forma né organizzazione. Tutto si svolgeva nella fuga.
Sergio Moravia, filosofo e mio professore di filosofia, ci ricordò una volta che occorre "sapersi perdere nelle città". Perdersi è dunque voglia e predisposizione a perdersi. Obliare il punto della propria coscienza nel tempo e nello spazio per arrivare in un mélange di non-tempo, di non-spazio, di anti-gravità e di sospensione. Credo che sia molto difficile sapersi perdere. Perdersi è avere volontà di una non-volontà.
E non ci si perde per ritrovarsi così come si era prima. Ma ci si ritrova diversi dopo essersi dimenticati, ci si sente nuovi, vergini, in una espressione, "ancora da perdersi".
D'improvviso il treno si ferma, mi sveglia, e insieme a Nicola m'incammino distratto nel caos nascosto di un quartiere borghese della capitale.


25/01/11

Ego Scriptor

La "création poétique" - c'est la création de l'attente

(La "creazione poetica" - è la creazione dell'attesa)

Paul Valery supera veramente se stesso in questa occasione. Io credo che in questo verso, tratto dalla sezione Poésie contenuta in Ego Scriptor (éd Gallimard), sia racchiusa una delle massime definizioni di poesia che conosco (dato e non concesso che sia possibile definirla). L'attesa è qualcosa di molto difficile anche da immaginare. L'attesa è forse un non-momento. Una sospensione della gravità. Il cuore che smette di battere a un certo punto. L'attesa è irrappresentabile. Se mi concentro un po' e provo ad immaginarmi in un momento di attesa, mi rendo conto che in quel momento non penserei in realtà a nulla. Credo che il movimento dell'attesa sia simile a quello della pazienza o della veglia. Sono probabilmente degli stadi "altri", "altrove" (per citare Derrida).
Per questo motivo credo che Paul Valery abbia veramente colto nel segno quando parla di "creazione dell'attesa". Se già l' "attesa" in se stessa è complicata da pensare, figurarsi avere addirittura il potere di crearla, o meglio, di crearsela, in primis. La poesia nel momento della creazione di se stessa ha la stessa forza della creazione dell'attesa. Salvo il vero, questo è ciò che penso volesse dire Valery, che resta sicuramente una delle stelle fisse nella costellazione dei poeti francesi.

23/01/11

..."Je voudrais...que ma vie soit comme un fleuve très riche qui coule avec joie sur la terre."

..."Vorrei... che la mia vita fosse come un fiume molto ricco che scorre con gioia sulla terra."

Nonostante la giornata fredda e uno stato d'animo non proprio ricco di motivazioni, ho deciso in questa domenica di far visita al Museo di Montmartre, poco distante da casa mia. Attraversando con sguardo da turista le animate viottole del quartiere sono giunto in rue Cortot. Appena girato l'angolo ho subito intravisto l'insegna del Museo. Alzando gli occhi verso l'alto, ho però visto qualcosa che mi ha colpito molto più dei caratteri cubitali dell'insegna. Sopra una piccola porta, ho infatti notato una placchetta nella quale, in un primo momento, non sono riuscito a leggere l'incisione. Avvicinandomi meglio ho capito che si trattava della casa un tempo abitata da Eric Satie, compositore e pianista francese. Dopo aver fotografato la placchetta sono entrato nel museo e ho iniziato a godermi l'esposizione. Il Museo di Montmartre, è una casa su 4 piani, ciascuno dei quali è addobbato di quadri, oggetti e manifesti di alcuni tra i grandi personaggi che hanno abitato il 18 arrondissement di Parigi. Da Utrillo a Edith Piaf, da Picasso a Toulouse-Lautrec, da Pissarro a Modigliani, passando per la Comune di Parigi, gli aneddoti di Poulbot, e gli affascinanti cabaret come Le chat noir, Les Folies Bergères, Le divan japonais...sono rimasto, per l'ennesima volta, esterrefatto dal fascino ancora tangibile della collinetta di Montmartre. 
All'uscita del museo, mi sono fermato nella piccola libreria adiacente e ho acquistato un libro molto invitante. Si tratta di una biografia di Amedeo Modigliani, scritta nel 2005 (éd. Gallimard) dal professor Christian Parisot, storico e critico d'arte, nonché uno dei massimi esperti dell'opera del maestro livornese. E' dall'ultima pagina del libro che ho ricavato il titolo di questo post. Spero di riuscire a scrivere prossimamente una breve recensione di questo testo e postarla sul blog, in modo da invogliare i lettori ad un approfondimento di questo immenso pittore.

"La vie est une ronce aux pleurs épanouie"

"La vita è un rovo ai pianti sbocciato"

Questa la traduzione dello splendido verso di Petrus Borel, contenuto nel Prologo di Champavert, Contes Immoraux. Quando per la prima volta lessi questo verso, ebbi da subito l'impressione di aver ricevuto un regalo molto importante. In questi pochi segni accostati l'uno all'altro è racchiuso l'universo amaro di un poeta sorprendente. L'aver conosciuto le Rhapsodies di Petrus Borel, noto soprattutto come prosatore, è stato come mettere una pietra dentro a una fessura della Grande Muraglia cinese. Non è tanto la gioia di aver riempito un piccolo vuoto culturale, ma piuttosto la soddisfazione di quando si riesce ad incastrare con precisione un pezzo importante di un puzzle. Ogni qualvolta rileggo questo verso, grazie agli splendidi suoni delle note francesi, rivivo un momento importante, turbante ma piacevole.