Docufilm realizzato
da Maki Berchache e Nathalie Nambot. Produzione : Les Films du Bilboquet, Francia,
2014 (16 mm/8 mm, colore, pellicola classica. Durata : 75 min.)
È nella grande sala
del Cinema d’Arte e d’Essai L’Étoile,
nella cittadina di La Courneuve
(Parigi), che viene proiettata , il 4 ottobre 2014, la prima creazione
cinematografica dei registi Maki Berchache e Nathalie Nambot. Documentario
d’ispirazione neorealista, la pellicola è guidata dalla voce fuori campo di un
narratore capace di dare una dimensione filmica al montaggio delle immagini.
Premiato al
Festival Internazionale del Cinema di
Marsiglia (2014), Brucia il mare
colpisce, in primo luogo, per la violenza immaginaria del suo titolo. Il
riferimento è anzitutto al termine di origine algerina harraga, letteralmente “coloro che bruciano”. Brucia il mare è dunque un’incitazione a “bruciare il
Mediterraneo”, che in gergo popolare rimanda alla possibilità di “superare il
mare”, di “oltrepassare rapidamente”, alla velocità di un baleno, la distanza
che separa il Maghreb dall’Italia, e più precisamente il passaggio dalla
Tunisia all’isola di Lampedusa.
Il docufilm passa
in rassegna la storia della migrazione clandestina di due giovani spinti ad imbarcarsi
per Lampedusa in seguito alla crisi politica in Tunisia, conseguenza degli
avvenimenti della Primavera Araba e della
cacciata del dittatore Ben Ali nel 2011. Dopo vari mesi passati in Italia,
miseri nelle tasche ma ricchi nella speranza e nella voglia di libertà, si
ritroveranno dapprima a Milano, poi a Ventimiglia, e infine a Parigi. Uno dei
due compagni, illuso come molti altri suoi connazionali dai bagliori delle
città occidentali, non riuscirà ad integrarsi alla vita mondana della capitale
francese, finendo per detestare i costumi transalpini e l’ipocrisia
sconcertante della comunità tunisina della ville
lumière. Dopo un breve e difficile passaggio da clandestino in Francia,
deciderà quindi di fare ritorno nella sua terra natale, senza scordare
l’amicizia e l’aiuto del caro compagno di viaggio, Maki.
Quest’ultimo, mai
rassegnato ad una vita da clandestino, s’impegnerà attivamente al fine di
acquistare i propri diritti di cittadino regolare. Dai primi mesi passati con i
compagni negli squat di Parigi, alle
manifestazioni di piazza, passando attraverso la militanza politica, Maki
troverà un suo proprio equilibrio, un lavoro, una casa, e il rispetto tanto
agognato. Il regista traspone quindi una sorta di racconto autobiografico, dove
il personaggio principale è lui stesso, capace oggi di raccontarsi e di narrare
al pubblico la propria storia, la propria avventura. Maki non pretende
rendere conto di una storia ideale, esemplare, ma di una “storia come tante
altre, la storia di tutti”. Lontano da un’eroica mitizzazione del proprio passato da clandestino e
militante, il giovane tunisino ripercorre fedelmente le tappe che lo hanno
portato all’integrazione, adottando un punto di vista umano, realista e
anticonformista. Brucia il mare
diviene cosi un invito a bruciare le frontiere, i documenti burocratici, le
identità convenzionali e i pregiudizi raziali che popolano l’immaginario e il
quotidiano degli occidentali. Ma la lotta di Maki non termina qui, perché
l’amore per la propria famiglia e la propria terra lo tormentano e i documenti
e il permesso di soggiorno, diventano infine l’unico modo per rivedere i propri
cari, nonché l’unico modo per dimostrare il proprio diritto ad esistere.
Il contrasto tra
la moderna e caotica vita parigina e i tranquilli pomeriggi delle campagne
tunisine rappresenta uno dei leitmotiv
dell’immaginario cinematografico di Maki Berchache. Se da una parte la capitale
francese è identificata come una possibilità di libertà, dall’altra il ricordo
della Tunisia fuggita è sempre più percepito come una nostalgica mancanza delle
radici familiari. Non a caso, il documentario insisterà molto sulla figura
della madre, sulle sue carezze, e l’odore del caffè da lei preparato ; cosi
come sull’abbraccio forte e sincero di un padre mai dimenticato.
Maki racconta in
modo intelligente la storia difficile di un uomo che forse non ha ancora
trovato la pace, ma che ha combattuto per la propria libertà, e che
incessantemente combatte i demoni della nostalgia e la tristezza di aver
lasciato una famiglia da amare. Maki non descrive in modo giornalistico e
idealista le umiliazioni subite dalle migliaia di clandestini che ogni giorno
drammaticamente sbarcano sulle coste italiane, non ci propone una visione militante
sulla tragedia dei clandestini in Europa. La forza e la bellezza del suo
racconto sono la naturalezza e la sincerità di un discorso fluido e cosciente,
una storia nella quale, infine ognuno di noi potrebbe davvero identificarsi.
Bruciare il sogno
: questo è il vero sogno. Bruciare forse anche il documentario, bruciare i
segni e le ingiustizie di un mondo globalizzato. Questo ci insegnano Nathalie e
Maki, e il volto scarno e vissuto di quest’ultimo diventa simbolo di una vita che
brucia e turba proprio come brucia il sale del mare, e turbano le onde di quel
muovere incessante immortalato all’inizio e alla fine della pellicola.
Immagine : Nicolas Rey
Suono : Nathalie Nambot
Montaggio : Gilda Fine
Con : Berchache Maki, Saidi Shaharedin, Nobig Badredin, Al Fawaghara Shadi, Sohbani Selim, El Saleh Mahmoud
Filmografia :
Nathalie Nambot: AMI, ENTENDS-TU?, 2010.
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