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10/10/14

BRUCIA IL MARE (titolo originale : BRÛLE LA MER)



Docufilm realizzato da Maki Berchache e Nathalie Nambot. Produzione : Les Films du Bilboquet, Francia, 2014 (16 mm/8 mm, colore, pellicola classica. Durata : 75 min.)

È nella grande sala del Cinema d’Arte e d’Essai L’Étoile, nella cittadina di La Courneuve (Parigi), che viene proiettata , il 4 ottobre 2014, la prima creazione cinematografica dei registi Maki Berchache e Nathalie Nambot. Documentario d’ispirazione neorealista, la pellicola è guidata dalla voce fuori campo di un narratore capace di dare una dimensione filmica al montaggio delle immagini.
Premiato al Festival  Internazionale del Cinema di Marsiglia (2014), Brucia il mare colpisce, in primo luogo, per la violenza immaginaria del suo titolo. Il riferimento è anzitutto al termine di origine algerina harraga, letteralmente “coloro che bruciano”. Brucia il mare è dunque un’incitazione a “bruciare il Mediterraneo”, che in gergo popolare rimanda alla possibilità di “superare il mare”, di “oltrepassare rapidamente”, alla velocità di un baleno, la distanza che separa il Maghreb dall’Italia, e più precisamente il passaggio dalla Tunisia all’isola di Lampedusa. 

                                                            Maki Berchache - Bagnolet

Il docufilm passa in rassegna la storia della migrazione clandestina di due giovani spinti ad imbarcarsi per Lampedusa in seguito alla crisi politica in Tunisia, conseguenza degli avvenimenti della  Primavera Araba e della cacciata del dittatore Ben Ali nel 2011. Dopo vari mesi passati in Italia, miseri nelle tasche ma ricchi nella speranza e nella voglia di libertà, si ritroveranno dapprima a Milano, poi a Ventimiglia, e infine a Parigi. Uno dei due compagni, illuso come molti altri suoi connazionali dai bagliori delle città occidentali, non riuscirà ad integrarsi alla vita mondana della capitale francese, finendo per detestare i costumi transalpini e l’ipocrisia sconcertante della comunità tunisina della ville lumière. Dopo un breve e difficile passaggio da clandestino in Francia, deciderà quindi di fare ritorno nella sua terra natale, senza scordare l’amicizia e l’aiuto del caro compagno di viaggio, Maki. 

Quest’ultimo, mai rassegnato ad una vita da clandestino, s’impegnerà attivamente al fine di acquistare i propri diritti di cittadino regolare. Dai primi mesi passati con i compagni negli squat di Parigi, alle manifestazioni di piazza, passando attraverso la militanza politica, Maki troverà un suo proprio equilibrio, un lavoro, una casa, e il rispetto tanto agognato. Il regista traspone quindi una sorta di racconto autobiografico, dove il personaggio principale è lui stesso, capace oggi di raccontarsi e di narrare al pubblico la propria storia, la propria avventura. Maki non pretende rendere conto di una storia ideale, esemplare, ma di una “storia come tante altre, la storia di tutti”. Lontano da un’eroica mitizzazione  del proprio passato da clandestino e militante, il giovane tunisino ripercorre fedelmente le tappe che lo hanno portato all’integrazione, adottando un punto di vista umano, realista e anticonformista. Brucia il mare diviene cosi un invito a bruciare le frontiere, i documenti burocratici, le identità convenzionali e i pregiudizi raziali che popolano l’immaginario e il quotidiano degli occidentali. Ma la lotta di Maki non termina qui, perché l’amore per la propria famiglia e la propria terra lo tormentano e i documenti e il permesso di soggiorno, diventano infine l’unico modo per rivedere i propri cari, nonché l’unico modo per dimostrare il proprio diritto ad esistere.

Il contrasto tra la moderna e caotica vita parigina e i tranquilli pomeriggi delle campagne tunisine rappresenta uno dei leitmotiv dell’immaginario cinematografico di Maki Berchache. Se da una parte la capitale francese è identificata come una possibilità di libertà, dall’altra il ricordo della Tunisia fuggita è sempre più percepito come una nostalgica mancanza delle radici familiari. Non a caso, il documentario insisterà molto sulla figura della madre, sulle sue carezze, e l’odore del caffè da lei preparato ; cosi come sull’abbraccio forte e sincero di un padre mai dimenticato.
Maki racconta in modo intelligente la storia difficile di un uomo che forse non ha ancora trovato la pace, ma che ha combattuto per la propria libertà, e che incessantemente combatte i demoni della nostalgia e la tristezza di aver lasciato una famiglia da amare. Maki non descrive in modo giornalistico e idealista le umiliazioni subite dalle migliaia di clandestini che ogni giorno drammaticamente sbarcano sulle coste italiane, non ci propone una visione militante sulla tragedia dei clandestini in Europa. La forza e la bellezza del suo racconto sono la naturalezza e la sincerità di un discorso fluido e cosciente, una storia nella quale, infine ognuno di noi potrebbe davvero identificarsi. 

Bruciare il sogno : questo è il vero sogno. Bruciare forse anche il documentario, bruciare i segni e le ingiustizie di un mondo globalizzato. Questo ci insegnano Nathalie e Maki, e il volto scarno e vissuto di quest’ultimo diventa simbolo di una vita che brucia e turba proprio come brucia il sale del mare, e turbano le onde di quel muovere incessante immortalato all’inizio e alla fine della pellicola.

Versione originale: Francese, Arabo
Immagine : Nicolas Rey
Suono : Nathalie Nambot
Montaggio : Gilda Fine
Con : Berchache Maki, Saidi Shaharedin, Nobig Badredin, Al Fawaghara Shadi, Sohbani Selim, El Saleh Mahmoud

Filmografia :
Nathalie Nambot:  AMI, ENTENDS-TU?, 2010.

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