La mendicante nel metrò ha gli occhi neri neri come la notte. E i suoi occhi sono scuri perchè mendica la vita. Inginocchiata ogni giorno, tutto il giorno. Avrà più o meno 20 anni. Chiaramente di origine araba, è misteriosa come la poesia.
Indossa un foulard nero avvolto sui capelli, uno scialle anch'esso nero sulle spalle e una lunga gonna grigioscura che le copre le scarpe. Il suo viso è limpido, leggermente roseo, freddo e indifferente. La mendicante nel metrò ha un'espressività unica, bellissima e irraggiungibile come Dio.
Ogni mattina e pomeriggio migliaia di persone le sfilano davanti senz'accorgersi di lei, della sua storia, del suo umore o delle sue paure. Chissà cosa penserà dietro quella sua bellezza misteriosa, arcana, primordiale.
La mendicante nel metrò fa male con i suoi occhi neri neri. Ecco perchè tutti fuggono il suo sguardo penetrante. Tutti la evitano, alcuni si fermano a lasciarle una moneta frettolosamente. Non c'è tempo per soffermarsi nella rincorsa al successo, nella fuga dai problemi o nella smania di non voler capire.
Se esistesse un fiore che la rappresenti, occorrerebbe chiamarlo come lei, senza nome, senza identità. Andrebbe lasciato crescere senza senso, come crescono le parole nel bambino meraviglioso, terrificante. E sei lei fosse già il fiore? E se lei non avesse davvero un senso?
Come ogni mendicante non lascia trasparire emozioni dal suo volto abituato, limato nei lineamenti dalla dura realtà che l'ha concepito. La sua posizione ricorda la Madonna inginocchiata sotto il figlio crocifisso, la pietà antropomorfizzata. La mendicante nel metrò è una statua di Canova. Le sue linee-forza tagliano l'aria, percuotono il suono fino a renderlo sordo, più muto del silenzio.
E tutti lo sanno, tutti evitano di ascoltarlo. La sua musica porta al di là del ponte, attraversa il non-luogo della passerella per arrivare laddove non si ha più sentimento. Il punto nel quale non c'è più la voglia, dove esiste solamente la veglia.