Apparso per la prima volta in un numero speciale della Revue des belles lettres il 2 marzo 1972, L'ultimo a parlare è un libro di Maurice Blanchot (ed. Fata Morgana).
In questo magnifico testo, Maurice Blanchot scrive un'accorata dedica a Paul Celan, poeta di origine rumena ed ebrea, di lingua tedesca. Il filosofo francese esalta in questo pensiero le doti linguistiche di Paul Celan, lo stridore musicale delle consonanti tedesche, la potenza eccessiva, e dolorosa del Nichtes (niente). Blanchot prova a comunicarci l'incomunicabilità della poesia del poeta ebreo, una poesia dove le assenze sono fortemente presenti, dove le pause sono movimenti, dove i silenzi sono la musica più assordante. Parlare, questo è ciò che conta. E anche quando non si ha più la forza di parlare, si può ancora mormorare. Accennare il suono, suono soffocato nei lager nazisti, il suono acutamente stridente di quella Notte dei cristalli quando il treno di Celan si fermò a Berlino nel 1938. L'ultimo a parlare è il prossimo dopo la fine. E' la parola che sopravvive all'uomo, perchè "nessuno testimonia per il testimone". Da qui l'esigenza di non perdere la voce, di conservare il fiato fino all'ultimo per parlare, o meglio, sussurrare.
Parla, anche te,
parla l'ultimo a parlare,
dì il tuo dire.
Parla ---
Tuttavia non separare dal Si il
No.
Dai alla tua parola anche il senso:
donandole l'ombra.
Donale abbastanza d'ombra,
donale altrettanta ombra
fino a che intorno a te tu la sappia sparsa
tra
Mezzanotte Mezzogiorno Mezzanotte.
(Paul Celan)
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